Come è nata la tv commerciale in Italia: da Carosello a Publitalia

Silvio Berlusoni, fondatore della tv commerciale in Italia

Discutendo di comunicazione , pubblicità e televisione, è ricorrente un tema. Come è nata la tv commerciale in Italia? Un tema al quale si collega – non a torto – la figura di Silvio Berlusconi. Ma qual era il contesto nel nostro Paese? E come è avvenuto il passaggio da Carosello all’ascesa di Publitalia ’80? Vediamolo insieme.

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Indice

In questo articolo sulla tv commerciale in Italia, vedremo:

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Cos’è la tv commerciale

Quando parliamo di tv commerciale intendiamo fare riferimento alla televisione basata sui finanziamenti prodotti dalla pubblicità. In ciò, si differenzia dal servizio televisivo pubblico (la Rai) – finanziato prevalentemente dal canone – e dalle televisioni comunitarie.

Come è nata la tv commerciale in Italia

La storia della tv commerciale, in Italia, ha inizio negli anni Settanta. In quegli anni, due riforme della Corte Costituzionale diedero il via alla liberalizzazione della televisione via cavo e via etere. Due elementi, poi, hanno fatto si che essa potesse partire con il piede giusto:

  • la possibilità – inizialmente – di non avere tetti pubblicitari;
  • la capacità di sfruttare fasce orarie trascurate dalla Rai.

La tv in Italia negli anni 70

A partire dalla fine degli anni ’70, nel mondo della televisione incominciò in Italia un processo di cambiamento che ebbe profonde conseguenze anche sulla pubblicità. Carosello – per venti anni, unico spazio pubblicitario della televisione italiana – ha dato inizio alla rivoluzione.

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E, paradossalmente, quella rivoluzione portò alla chiusura di Carosello stesso, nel 1976. Il 14 aprile di quell’anno, l’allora presidente della Rai, Beniamino Finocchiaro, informò, tramite una lettera riservata, la Commissione parlamentare di vigilanza di aver preso la decisione di cessare le trasmissioni di Carosello dall’1 gennaio dell’anno successivo. Il pubblico verrà a conoscenza della decisione solo il 20 luglio del 1976.

Perché la pubblicità spinse verso la tv commerciale

Dietro la decisione di chiudere Carosello vi fu più di un fattore. Su tutti, uno.

La crescente richiesta di accesso alla pubblicità televisiva da parte delle aziende, aveva spinto l’associazione dei pubblicitari italiani a chiedere alla Rai la soppressione di Carosello: non tutte le aziende erano in grado di sostenere i costi della produzione degli sketch a cui obbligava la sua struttura. Già da molto tempo gli utenti pubblicitari, con lo scopo di evitare inutili perdite di tempo e di denaro, chiedevano che gli spot pubblicitari fossero brevi, ripetuti frequentemente e che il focus fosse esclusivamente sul prodotto reclamizzato.

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Carosello aveva cambiato il modo di fare e di vedere la televisione: gli spettatori erano maturati e cercavano nella tv sempre più una fonte di intrattenimento, piuttosto che una fonte di apprendimento. Fino a quel momento, la tv italiana si era contraddistinta per il suo intento pedagogizzante.

Nuove emittenti e nuove fasce di ascolto

A risentirne fu la programmazione televisiva: si aprirono nuove fasce d’ascolto: la tarda serata, il pomeriggio e l’ora di pranzo. La Riforma della Rai ha concesso alla seconda rete spazi, mezzi tecnici e finanziamenti uguali a quelli della prima rete. Nelle case degli italiani, iniziava a diffondersi il secondo televisore, spesso a colori. Diventava ormai logico iniziare a pensare di rivolgersi a pubblici specifici.

Questo passaggio venne accentuato e accelerato dalla nascita delle emittenti private: il caso dell’emittente “pirata” Tele Biella del 1971 fece da apripista; nel 1976 la Corte Costituzionale liberalizzò le emittenti private, anche se soltanto in ambito locale.

Nasce la tv commerciale: da Tele Milano a Canale 5

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Si trattava di emittenti via cavo, come Tele Milano. Nata nel 1974 per intrattenere gli abitanti della zona residenziale di Milano 2, diventerà, nel 1980, la prima rete televisiva privata a diffusione nazionale: si chiamerà Canale 5. Negli anni ’70, inoltre, i telespettatori italiani avevano iniziato a ricevere emittenti estere come Tele Montecarlo e Tele Capodistria che si sostenevano soltanto con gli introiti pubblicitari.

Da quel momento in poi, gli spazi pubblicitari in televisione hanno conosciuto una crescita continua. L’intrattenimento cercato dagli utenti del mezzo televisivo troverà maggiore spazio sulle tv commerciali piuttosto che sulle reti Rai.

La televisione commerciale seppe proporre, fin da subito, programmi di facile presa sul pubblico.

Questa contrapposizione divenne ancor più netta con l’acquisizione, rispettivamente nel 1982 e nel 1984, di Italia Uno e Rete quattro da parte di Silvio Berlusconi, già proprietario di Canale 5.

Le differenze fra tv pubblica e tv commerciale

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Diventava evidente la contrapposizione tra due modelli di televisione:

  • quello pubblico, della tv che veniva da un passato fatto di bianco e nero e che cercava di accreditarsi come televisione in grado di mostrare la realtà così com’era (non a caso rigorosamente dal vivo, come le consentiva il monopolio delle trasmissioni in diretta);
  • e quello commerciale, della tv capace di far sognare, che doveva invece il suo crescente successo proprio alla capacità di sganciarsi da ogni riferimento alla realtà concreta della vita (V. Codeluppi, Che cos’è la pubblicità, cit., p. 33).

Un intrattenimento, quello della tv commerciale, alimentato dagli introiti pubblicitari e quindi legato ad essi in modo direttamente proporzionale: la televisione smette di vendere informazione, cultura e spettacolo in cambio del canone. Ed inizia a vendere i propri spettatori agli inserzionisti.

La programmazione della tv commerciale

Come abbiamo anticipato, la tv commerciale seppe valorizzare nuove fasce orarie. Nel farlo, si avvalse, soprattutto, di serie televisive di importazione. Su tutte, le soap opera: un dramma nato – prima per la radio, poi, tradotto per la tv – per reclamizzare saponi.

Destinatario di questo format, era il pubblico femminile. E non esisteva orario migliore che quello della fascia mattutina per raggiungere le casalinghe italiane.

Come la tv commerciale ha cambiato la televisione in Italia

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Quella trasformazione coinvolse, già alla fine degli anni ’80, anche la Rai. Nonostante la tv di Stato continuasse a ricevere il canone, la valutazione di un programma si spostò dalla qualità del prodotto alla quantità di spettatori prodotta; quindi, dal valore culturale a quello economico.

La neotelevisione: la tv generalista e commerciale degli anni 80

Inizialmente, la Rai sottovalutò il fenomeno nascente della tv commerciale. Successivamente, si adeguò ad essa, cambiando la propria programmazione. La tv pubblica abbandonò la sua funzione pedagogica per inseguire i gusti del grande pubblico.

In questo contesto, Umberto Eco conia il neologismo neotelevisione: la televisione generalista e commerciale dei primi anni ottanta in Italia.

Crescono gli investimenti in pubblicità

Alla crescita della tv commerciale, si accompagnò la crescita degli investimenti in pubblicità: dai 363,4 miliardi del 1974, si arrivò ai 3 mila e duecento miliardi del 1984. Dalle grandi imprese nazionali agli artigiani, dalle aziende locali ai piccoli negozianti, tutti ambivano a voler andare in televisione.

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Anche questo, giocò a favore della tv commerciale. Con essa, l’acquisizione delle inserzioni non era più appannaggio delle grandi case, come era stato con la Sipra (oggi, Rai Pubblicità). In breve tempo, questo fece di Publitalia ’80 una delle maggiori concessionarie pubblicitarie.

Per emergere dalla esorbitante quantità di messaggi pubblicitari, diventava fondamentale riuscire ad occupare spazi sempre più grandi.

Nasce la modalità dell’interruzione dei programmi

Gli anni ’80 portarono la pubblicità televisiva italiana ad arricchirsi anche di una nuova modalità: l’interruzione dei programmi, sconosciuta durante il monopolio Rai. Questa comportò la frammentazione della struttura dei programmi. Ma anche importanti trasformazioni nel linguaggio pubblicitario. Questo divenne sempre più aggressivo.

La pubblicità scopre la logica dell’emozione

La molteplicità dei messaggi pubblicitari comportò anche una trasformazione nella struttura del messaggio stesso. Arrivare al consumatore non era più sufficiente: diventava necessario attirarlo, farlo sognare, farlo innamorare del prodotto (P. Dorfles, Carosello, cit., p. 115). Nasce quella che il pubblicitario francese Séguéla definisce logica dell’emozione (J. Séguéla, Hollywood lava più bianco, Milano, Lupetti, 1985).

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Negli anni ’90 poi, la comunicazione pubblicitaria, avendo sviluppato una propria consapevolezza metalinguistica, divenne sempre più autoreferenziale e cosciente della propria storia.

L’oggetto della pubblicità divenne sempre meno il prodotto e sempre più la pubblicità stessa con i suoi discorsi, i suoi meccanismi di comunicazione. L’equilibrio tra messaggi razionali ed emozionali, tra racconto e propaganda, di cui era stato artefice Carosello con la sua rigida struttura, trovò sempre meno spazio negli sviluppi pubblicitari successivi. Questo anche grazie alla crescita della tv commerciale.

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Felice Tommasino

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