Cristiano Ronaldo e Coca-Cola: i limiti dei brand sponsor e del product placement

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I social media hanno spostato il baricentro della comunicazione: i brand hanno sempre meno potere di controllo sulla comunicazione. L’episodio di Cristiano Ronaldo e Coca-Cola ha palesato, ancora una volta, i limiti dei brand sponsor e del product placement. Vediamo perché.

Il potere commerciale degli sportivi è sempre stato dirompente. La tv ed i media sono sempre stati un veicolo fenomenale di seguito per le personalità vincenti. Uno scatto ulteriore, queste personalità, lo hanno avuto con l’avvento dei social media. Sempre più spesso, ci troviamo di fronte al paradosso per cui il testimonial gode di peso mediatico maggiore rispetto al brand. Ed è proprio questo paradosso ad aumentare il rischio reputazionale per i brand.

L’ultimo episodio ad accendere la luce su tale rischio è quello che vede protagonisti Cristiano Ronaldo e Coca-Cola. Ma brand sponsor e testimonial sono andati in conflitto più volte, negli ultimi anni. Stiamo per vedere degli episodi significativi, in tal senso. Ma parleremo anche di product placement: una forma di pubblicità che sembra essere superata dai tempi, almeno nella sua “forma classica”.

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Indice

In questo articolo su Cristiano Ronaldo e Coca-Cola: i limiti dei brand sponsor e del product placement, vedremo:

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Brand e testimonial: un rapporto complicato

Ormai, ci troviamo di fronte ad un paradosso: il testimonial è spesso più importante e più popolare del brand stesso. Il caso Cristiano Ronaldo e Coca-Cola ad Euro 2020 lo ha dimostrato in tutta la sua dirompenza. Ed ha palesato, ancora una volta, quanto può essere difficoltoso per i brand gestire i propri rapporti con i testimonial, soprattutto quando si tratta di atleti di primissimo livello.

Cosa fece Michael Jordan con Reebok

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Come sappiamo, tutti gli atleti professionisti di alto profilo hanno i propri accordi di sponsorizzazione che a volte possono entrare in conflitto con gli accordi di sponsorizzazione di eventi, squadre e Federazioni. Emblematico fu l’episodio che video come protagonista Michael Jordan, alle Olimpiadi del 1992, a Barcellona. Jordan coprì il logo Reebok sulla propria divisa con la bandiera americana, pur di non essere fotografato con indosso un concorrente Nike.

Cosa ha fatto Cristiano Ronaldo con Coca-Cola

Il fuoriclasse portoghese, fanatico del fitness, vanta 550 milioni di follower sui social. Un vanto, sicuramente. Ma anche un popolo, un flusso di seguaci a cui dar conto. Cristiano Ronaldo, con il suo plateale gesto di allontanare le bottiglie di Coca-Cola dall’inquadratura, non ha fatto altro che tutelare il proprio personal brand.

Ha affermato – con prepotenza, se vogliamo – il proprio modo di essere, in virtù di quei 550 milioni di follower: senza la loro forza, il gesto di CR7 non avrebbe avuto lo stesso clamore mediatico. Prendendo la bottiglietta d’acqua, dicendo “bevete questa” dopo aver allontanando le bottiglie di Coca-Cola, Cristiano Ronaldo ha fatto perdere circa 4 miliardi di dollari in valore di mercato all’azienda produttrice. Il prezzo delle azioni della Coca-Cola sarebbe sceso, infatti, da 56,10 dollari a 55,22: un calo dell′1,6%, come riporta Huffington Post.

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Il calciatore più famoso del mondo ha costruito un impero. Un impero che lo ha visto guadagnare – come riporta The Guardianpiù di 1 miliardo di dollari (720 milioni di sterline) in stipendi, bonus e attività commerciali come le sponsorizzazioni. È evidente che questo impero libera Cristiano Ronaldo dall’obbligo di seguire le regole commerciali dei club, dei tornei e dei loro sponsor.

Cosa ha fatto Pogba con Heineken

Il centrocampista francese Paul Pogba, musulmano praticante, ha raccolto l’assist del portoghese, pochi giorni dopo. L’abbiamo visto rimuovere una bottiglia di birra Heineken (analcolica) dal tavolo della conferenza stampa dopo la vittoria per 1-0 della Francia sulla Germania. Heineken, come Coca-Cola, è uno dei principali sponsor degli Europei di calcio.

Diritti del testimonial e diritti del brand

Viene da chiedersi se tutto ciò sia lecito. Se atleti, seppur del calibro mediatico di Ronaldo e Pogba, possano boicottare il sistema delle sponsorizzazioni di un evento della portata degli Europei di calcio.

La risposta l’ha fornita Marco Bellinazzo, giornalista ed esperto di economia sportiva, all’Huffington Post. A meno che non ci sia nel contratto sottoscritto dai giocatori con la propria Federazione – e quindi negli obblighi sottoscritti dalla singola federazione nazionale con la Uefa – l’obbligo di presenziare a quella conferenza e avere quel tipo di sponsor, il danno arrecato ai brand è difficilmente risarcibile. Ronaldo e Pogba hanno agito per tutelare il proprio diritto di immagine personale: non hanno alcun obbligo nei confronti, rispettivamente, di Coca-Cola ed Heineken. Perciò le due aziende non possono rivalersi sulla Uefa. E la Uefa non può rivalersi su di loro.

La UEFA, dal canto suo, ha ricordato alle squadre partecipanti che le partnership sono parte integrante della realizzazione del torneo e per garantire lo sviluppo del calcio in tutta Europa, anche per i giovani e le donne. Non sono da escludere, dunque, sanzioni per il caso Ronaldo e per altri casi simili che dovessero verificarsi. Ma tali sanzioni non potranno che arrivare, in ogni caso, dalla Federazione di appartenenza dell’atleta.

Il caso Pogba esula da questo richiamo, dal momento che ha motivazioni di natura religiosa.

Cos’è l’attivismo sportivo

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Secondo molti, il caso Ronaldo rientrerebbe in quello che viene definito attivismo sportivo. Viene in mente l’episodio di cui si è resa protagonista la tennista Naomi Osaka. La numero due del mondo ha usato i propri social per sfogarsi contro le “regole obsolete” che regolamentano giocatori e conferenze stampa, annunciando che si sarebbe ritirata dal Roland Garros.

I suoi numeri – lontani da quelli di CR7 – sono comunque importanti: sono 4 milioni le persone che la seguono sui social. Quanto basta per sollevare un polverone nel mondo del tennis e dello sport, in generale. Tim Crow, consulente di marketing sportivo, individua questo come il caso più eclatante di attivismo sportivo.

Quando il brand abbandona il testimonial

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Avere il pieno controllo sui comportamenti dei testimonial non è mai stato semplice per i brand. Quelli di Cristiano Ronaldo e Paul Pogba sono soltanto gli ultimi, evidenti, gesti di insubordinazione. Ma è sufficiente andare leggermente indietro nel tempo per ricordarci di altri casi di danni di immagine recati ai brand da chi avrebbe dovuto giocare a loro vantaggio.

Nel 2009, Tiger Woods – stella del golf – fu coinvolto in un celebre scandalo sessuale. I suoi sponsor, Gillette e Gatorade su tutti, decisero di abbandonarlo. Nike scelse, stoicamente, di restare con il campione statunitense.

In cosa consiste il product placement

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Ma torniamo al product placement, causa ed origine del gesto di Ronaldo e Pogba. Il product placement è una forma di pubblicità in cui i prodotti o servizi di un brand vengono inseriti in contenuti di intrattenimento (video, serie tv, fiction, film, audio e musica). Anche noto come embedded advertising, il product placement ha il fine di influenzare il pubblico (l’audience) del contenuto.

Tipologie di product placement

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Il product placement si caratterizza per il posizionamento di prodotti, servizi, brand, loghi o payoff dell’azienda in tre possibili forme:

  • Sonora: è il caso della citazione;
  • Visiva: è l’immagine a giocare un ruolo chiave;
  • Audio e video: in questo caso, abbiamo una combinazione di audio e video.

Nei casi di cui stiamo parlando – quello di Cristiano Ronaldo con Coca-Cola e quello di Paul Pogba con Henineken – ci troviamo di fronte al posizionamento di prodotti in forma visiva, durante le conferenze stampa post partita. Questo posizionamento ed il product placement, in particolare, sono solo una parte delle ricche sponsorizzazioni messe in atto dai brand nella manifestazione.

I limiti del product placement

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Il caso di Cristiano Ronaldo, secondo alcuni, potrebbe addirittura segnare l’inizio della fine delle conferenze stampa ricche di product placement. Dopo tutto, non si può dire che gli sponsor non abbiano abbastanza copertura durante i grandi eventi come gli Europei di calcio. Allo stesso tempo, un product placement così palesemente artefatto – come quello dell’esposizione di prodotti in una conferenza stampa – sembra superato dai tempi.

Ognuno di noi, è quotidianamente ed incessantemente invaso da messaggi pubblicitari. Ne siamo ormai assuefatti. Tanto che tendiamo ad ignorare con maggiore facilità proprio quelli più evidenti.

Viene da apprezzare, invece, product placement meno espliciti. Pensiamo alle star dello sport che, a volte, si grattano o si sfregano la testa durante le interviste appositamente per mostrare la marca di orologio che indossano. Da quanto scrive Rupert Hawksley su The Independent, pare che Roger Federer e José Mourinho siano soliti farlo spesso,

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Felice Tommasino

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