Globalizzazione, migrazioni e cultura: esiste una sola verità?

L’epoca della globalizzazione sembrerebbe mettere in discussione la naturale vocazione degli studi antropologici per la diversità. Ma, se da un lato la globalizzazione attenua le distanze e le differenze tra differenti culture, è anche vero che essa non elimina del tutto tali differenze. L’antropologia continua dunque a trovare il compimento della sua vocazione allo studio delle differenze. La globalizzazione va intesa non solo nella sua dimensione economico-politica – diretta conseguenza della compressione spazio-tempo seguita allo sviluppo delle vie di comunicazione e dei trasporti – ma anche come età dell’informazione: lo scambio di informazioni, saperi ed innovazioni si accompagna infatti allo spostamento transnazionale di persone, merci e capitali.

Il ruolo di Internet

Per certi versi, lo scambio di beni immateriali diviene addirittura il motore dello scambio dei beni materiali. Tale configurazione trova realizzazione soprattutto grazie ad Internet che con la sua struttura reticolare di relazioni diviene il modello per la nuova morfologia sociale ed economica. In esso e grazie ad esso, assume un ruolo dirimente il segno ed il suo contenuto informativo. Ma l’eccellente mezzo di comunicazione che è Internet pone, dall’altro lato, l’accento sul divario tra quanti riescono ad avervi accesso e quanti invece ne restano esclusi: questa è l’origine della differenza originata da un modello che si presenta come principale strumento di assottigliamento delle differenze.

Le migrazioni diventano transnazionali

Un’altra conseguenza della nuova evoluzione dei mezzi di comunicazione è il passaggio dalla dimensione internazionale delle migrazioni a quella transnazionale: sono sempre di più le persone ed i lavoratori che pur lontani dal loro paese di origine continuano a mantenere uno stretto contatto con le reti sociali di appartenenza. Ciò non assicura la perpetrazione della cultura di origine, ma dà avvio alla creazione di una cultura terza, che differisce da quella di provenienza quanto da quella di arrivo.

Come sono cambiati i flussi migratori?

Un fenomeno dovuto anche al cambiamento intercorso all’interno dei flussi migratori stessi: non più soltanto lavoratori con basso grado di specializzazione, in gran parte maschi, ma anche professionisti come manager e operatori finanziari, personale di organizzazioni internazionali e Ong, giornalisti, scienziati e intellettuali che sviluppano un qualche genere di cosmopolitismo. Tali sfere sono meno propense a produrre ibridazione culturale. Vi sono poi gli esempi dei campi profughi, dei rifugiati politici e dei richiedenti asilo: con modalità diverse, le persone sperimentano una vita sociale de-territorializzata e l’assenza di ogni forma di cittadinanza. Particolare è anche il caso dei flussi migratori “specializzati” come quelle legate a lavori domestici o di assistenza: esse mantengono vive le relazioni familiari e sociali di provenienza, ma al tempo stesso divengono parte integrante delle famiglie per le quali lavorano.

Globalizzazione: omologazione o ibridazione?

In un tale contesto, trovano spazio teorie della globalizzazione solo apparentemente contrapposte: quelle dell’omologazione e quelle dell’ibridazione. Si può considerare la globalizzazione sia come il frutto di grandi forze omogeneizzanti; sia come la capacità dei contesti locali di reagire attivamente all’inserimento in più ampie reti di rapporti, resistendo alle forze omologanti, rivitalizzando vecchie differenze e creandone di nuove. Essa dà infatti origine a ciò che Hannerz definisce cultura mondiale: “un’organizzazione della diversità, un’interconnessione crescente di culture locali differenti, così come lo sviluppo di culture senza un netto ancoraggio in un particolare territorio”. In questa interconnessione, anche i gruppi sociali più poveri, esclusi ed oppressi beneficiano di una più ampia gamma di risorse cui attingere per dare sfogo a quelli che Appadurai chiama “mondi immaginati”, in cui prefigurare i propri orizzonti esistenziali ed identitari.

Approccio antropologico, media e industria culturale

Questo sembra convergere con quanto è possibile affermare riguardo la fruizione di prodotti culturali apparentemente standard come le serie tv ed il calcio: il prodotto è lo stesso, su scala mondiale, ma ogni gruppo sociale lo interpreta e lo reinterpreta secondo i canoni del proprio sistema socioculturale di riferimento. Il prodotto standard si presta così ad assumere significati diversi e ad assolvere funzioni differenti a seconda del contesto culturale e sociale nel quale esso viene fruito. Un discorso in parte riconducibile anche alle polemiche generate dalla serie tv Gomorra: denuncia eventi negativi? O diffonde pratiche e consuetudini criminali?

La risposta non sembra poter essere univoca: dipende dal fruitore del messaggio, da suo contesto sociale e culturale; dipende dall’atteggiamento con il quale lo stesso si pone di fronte a tali prodotti dell’industria culturale; ma anche dal suo vissuto e dalla sua esperienza personale di vita. Trova così affermazione uno dei principi dello studio antropologico: non esiste una verità, ma tante verità, ognuna delle quali è legata ad un punto di vista differente. La cultura stessa, per quanto condivisa, si configura come una continua mediazione e ri-mediazione dei saperi.

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Felice Tommasino

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